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di Nicola Zingaretti 23 Ottobre 2020

La direzione si riunisce per la prima volta dopo il risultato delle elezioni amministrative e referendarie alla vigilia di importanti scelte politiche e di nuovo dentro una crisi sanitaria profonda legata al coronavirus. Ancora una volta, in pochi mesi è cambiato tutto e sicuramente molto cambierà. Il voto di settembre ha prodotto una svolta sostanziale nel quadro politico. Le elezioni che per tanti dovevano essere la tomba del PD hanno restituito al nostro partito una nuova centralità e, insieme, un’enorme responsabilità, in uno degli snodi storici più complicati nella storia del Paese. Abbiamo letto e fatto molte analisi in queste settimane, ma voglio condividere con voi alcune riflessioni e valutazioni. Non per mettere bandierine, ma con lo sguardo rivolto avanti, per dare seguito a un processo che dobbiamo considerare solo iniziato. Lo ripeto allora anche oggi. Non ci credevano in molti, ma possiamo ritenerci soddisfatti dell’esito elettorale, che è arrivato dopo il risultato positivo delle europee e importanti vittorie come quella in Emilia Romagna. Siamo soddisfatti almeno per tre motivi:
  1. Con l’accordo chiuso in Valle d’Aosta tra PD e Union Valdotaine e gli altri gruppi autonomisti, le regionali si chiudono con un bilancio di 4 regioni per il centrosinistra e 3 per il centrodestra. Un risultato molto positivo che ha spazzato via le aspettative di “cappotto” del centrodestra, la rivincita dei populisti, usciti perdenti nel risultato finale, e anche alcune previsioni avventate di molti osservatori. Il voto ha ridato forza al governo e all’alleanza che lo sostiene.
Ed è senza dubbio un risultato molto positivo per il Partito Democratico. In tutte le regioni si conferma il ruolo centrale del PD quale pilastro insostituibile di ogni coalizione di centrosinistra alternativa alle destre. Anche dove non siamo riusciti a formare un’alleanza ampia delle forze di governo, il Partito Democratico è stato il collettore del “voto utile” per affermare un modello di governo del territorio e per fermare le destre. Il buon risultato non vuol dire naturalmente che possiamo sottovalutare quello che è successo per motivi diversi in Liguria o nelle Marche, o la netta sconfitta in Veneto, territorio dove abbiamo grandi difficoltà e sul quale dovremo fare una riflessione approfondita. Partendo però da un dato inequivocabile: ora sappiamo che, anche laddove le difficoltà sono maggiori, la tendenza si può invertire. Lo dimostra il risultato per molti versi sorprendente del partito nelle elezioni amministrative nelle province della Lombardia, altro territorio dove fino a qualche anno fa sembrava impossibile vincere. Facciamo quindi tesoro delle sconfitte, ma io dico che dobbiamo fare tesoro anche e soprattutto delle ragioni che ci hanno portato alla riconquista di una parte importante del Paese, dove un’Italia dinamica e laboriosa ha forse smesso di guardarci con sospetto.
  • Arrivo quindi al secondo punto. L’ottimo risultato nelle amministrative, dove siamo ampiamente la coalizione che ha eletto il maggior numero di sindaci.Considerando i comuni con più di 15 mila abitanti il centrosinistra ha eletto 48 sindaci contro i 30 del centrodestra. Molto positivo il risultato in particolare nei comuni Capoluogo dove il centrosinistra ha eletto 8 sindaci (9 con Matera 5 stelle, 10 con Aosta Unione Valdotaine) contro i tre del centrodestra. Con importanti conferme a Reggio Calabria, Mantova, Trento, Bolzano, con la bellissima vittoria di Lecco dove abbiamo ribaltato sul filo di lana il risultato del primo turno e anche con vittorie in territori dove non vincevamo da tempo come a Chieti. Un risultato importante, perché fotografa una capacità nuova di aggregazione e attrazione, che molti mettevano in dubbio.
Il Partito democratico nelle elezioni comunali ha avuto assieme alle altre liste di centrosinistra un buon risultato, che conferma l’indicazione importantissima delle elezioni regionali, nelle quali il PD malgrado la presenza di tantissime liste civiche nelle nostre alleanze è stato il partito più votato in Italia con 1milione 800mila voti, oltre cinquecentomila voti in più della Lega, secondo partito. Un risultato impensabile fino all’anno scorso, frutto soprattutto di una ricollocazione strategica del partito che ha funzionato e che alla prova del voto risulta vincente. I cittadini italiani che hanno votato per le regionali, le amministrative e per il referendum ci hanno lanciato un segnale molto chiaro, che raccogliamo. La destra rimane forte, radicata socialmente e combattiva. Non dobbiamo sottovalutarlo. La sua rappresentanza politica in realtà è più divisa di quanto appare e ora su una linea protestataria ma forte. Quindi a noi nessuna pigrizia è permessa. 3) Terzo punto, il voto per il referendum. Avevamo detto sì per cambiare L’affermazione dei Sì al referendum, deve ora mettere in moto un processo di riforme utili al Paese. Il Partito Democratico ha scelto lucidamente di confrontarsi senza pregiudizi sul quesito referendario. La nostra insistenza su una visione complessiva delle riforme credo abbia fatto la differenza. Adesso le ragioni del Sì, ma anche molte di quelle del No, devono viaggiare spedite sulla strada che dovrà portarci ad approvare quelle trasformazioni di cui il Paese ha veramente bisogno: velocizzare il lavoro parlamentare, garantire equilibrio e rappresentanza, superare il bicameralismo paritario rendere più veloce ed efficace l’azione di Governo e della P.A.: Sono tutti nodi aperti molti impegni presi da tutti ora occorre affrontarli  senza indugi. E’ il covid a dirci che non possiamo tenere aperti ancora tra polemiche e per settimane questi dossier. Oggi mi sento in dovere in qualità di segretario di ringraziarvi, per come si è svolto il confronto sul voto al referendum all’interno del partito. Non era scontato. Su una materia così sensibile come le riforme costituzionali rischiavamo di avvitarci in una discussione lacerante, che ci avrebbe indebolito e soprattutto sarebbe apparsa incomprensibile agli occhi dei cittadini. Certo, c’è stato qualche tentativo di deviarci su quel binario, ma grazie alla responsabilità di tutti noi, abbiamo dato vita, pur in presenza di idee diverse, a un confronto franco e leale e fornito una grande prova di maturità. Considero la discussione sul voto al referendum una pagina di buona politica. Questo deve fare un grande partito, dove visioni diverse possono convivere, sono anzi materia fertile, se tutti danno un contributo di proposta e progresso. Io credo che questa attitudine al confronto sia stata anche una delle chiavi fondamentali del buon risultato alle regionali e alle amministrative. Un partito pluralista e aperto alla discussione è un partito più inclusivo, più capace di attrarre consenso. Anche da altri partiti, come è successo alle regionali e, in particolare, nei ballottaggi. Sono convinto inoltre che la convergenza dei voti sui nostri candidati alle regionali e alle comunali è stata favorita anche dalla posizione assunta dal PD sul referendum. Il PD, dicevo, si conferma il pilastro nel campo del centrosinistra. Non c’è prospettiva riformista per il Paese senza la presenza del nostro partito. Non c’è alternativa alle destre populiste, senza il PD. Ci prendevano per matti quando lo dicevamo un anno fa. Molti erano scettici quando prima del voto lo abbiamo ripetuto nelle piazze. Invece avevamo ragione noi. Chi è andato a votare, anche se magari non si riconosceva nel partito democratico, ci ha avvertito come una forza non ostile. E ha scelto di votare per la nostra coalizione, per i nostri candidati. Siamo soddisfatti, quindi. E lo siamo non solo per il risultato puramente numerico del PD, ma perché si conferma una sintonia con una parte rilevante del Paese su un modo di interpretare la politica. Con il voto si è rafforzata una linea improntata ai valori della lealtà, dello spirito di collaborazione, dell’unità. Insieme ai sovranismi, hanno perso i particolarismi, le furbizie, gli egoismi. Ora di questa forte richiesta di coesione e unità che arriva dal popolo largo del centrosinistra tutti dovranno tenere conto. Mi auguro anche fuori dal PD. Essere più uniti e unitari non significa essere silenti o immobili. Significa essere credibili per cambiare. Noi, come abbiamo fatto finora, lavoreremo con ogni nostra forza per raccogliere questa istanza, che in una fase drammatica come quella che viviamo è forse la cosa più utile e preziosa per il Paese. Il PD è uscito dall’isolamento. Il dinamismo che abbiamo dimostrato in questa fase politica va capitalizzato e messo al servizio dell’Italia. Guai a fermarsi. Viviamo una fase piena di rischi e opportunità. Vedo in particolare tre grandi nodi, tre grandi sfide che impegneranno il PD già nei prossimi giorni e nei prossimi mesi.
  1. La prima sfida riguarda la battaglia contro il Covid e contro le sue conseguenze sociali ed economiche. Si tratta di una battaglia ancora durissima, come avevamo previsto. Il virus non è mai stato sconfitto.
Gli ultimi dati sull’aumento dei contagi, con una forte crescita anche della percentuale di tamponi positivi sul totale destano molta preoccupazione. Una situazione di allarme rosso che riguarda l’intera Europa con molti importanti Paesi che in questa fase sono in una situazione anche più difficile di quella italiana. (DATI) Ora comunque emerge la verità: è chiaro a tutti che il nemico non erano le regole, ma solo il virus. Con le regole, con i sacrifici, con il lavoro faticoso di tutto il comparto della sanità, nella primavera scorsa siamo riusciti a far arretrare il contagio. Ora siamo entrati in una nuova fase critica, che ci impone serietà e concretezza. Ci arriviamo più forti, più prepararti, più consapevoli delle azioni utili per condurre la battaglia. Ma attenzione. Il livello di stress non solo economico, ma anche psicologico della popolazione è altissimo. Viviamo un tempo di insopportabile incertezza sul futuro, di paura per noi e per i nostri cari, di timore su quali scenari si apriranno. E abbiamo ancora su di noi impressi i segni del trauma profondo che abbiamo vissuto con il lockdown. La rottura improvvisa delle relazioni sociali, la solitudine di fronte a un evento globale imprevedibile. Era forse fisiologica una fase di rilassamento, anche se in tanti casi questo si è trasformato in irresponsabilità. Quello che è chiaro è che serve oggi più che mai un Paese unito nella lotta a un nemico di tutti. È il tempo, come ha detto martedì il presidente Mattarella, della “responsabilità collettiva”. Che non significa affatto scaricare sui cittadini il peso enorme della lotta al virus, ma piuttosto vuol dire collaborare, ciascuno con i propri comportamenti e le proprie scelte, a sbarrare ogni possibile strada al contagio. Il PD sente tutta la responsabilità di questa fase. Con il supporto della scienza e attraverso un utile confronto nel Paese, in particolare con le istituzioni locali, sono state assunte alcune decisioni. Vedremo nei prossimi giorni se sono sufficienti. Occorre rivolgere un appello a tutti affinché anche i provvedimenti più difficili che dovessero essere ritenuti necessari vengano rispettati. Ci vuole un alleanza della politica, con la cultura, con la scuola, le imprese, con i mezzi dell’informazione affinché si costruisca tutti assieme un messaggio di allarme, che non si deve trasformare in panico o in una descrizione terroristica e sproporzionata delle condizioni di emergenza in cui viviamo. Ci siamo affidati anche alla scienza. La scienza ha collaborato con la politica. Sono caduti miti e tabù privi di qualsiasi fondamento razionale. La paura non è stata esorcizzata, piuttosto attraversata da un’azione razionale e concreta. E proprio oggi vale ancora di più la pena di chiedere al Paese di unirsi e combattere con collettivi e individuali comportamenti responsabili forse per un ultimo sforzo perché, appunto, la ricerca di un vaccino o di farmaci curativi potrebbe approdare in pochi mesi in risultati importanti. Il Pd è orgoglioso che su tale fronte, proprio l’Italia sia all’avanguardia, e che noi democratici su sicurezza,  verità, regole per tornare a vivere non abbiamo mai avuto tentennamenti o cadute verso atteggiamenti ambigui o furbi. Ma non distraiamoci un secondo dal compito che ci investe come forza di governo in questa fase storica dominata dall’incertezza e dai timori che ha prodotto il Coronavirus: quello di garantire un equilibrio tra libertà e sicurezza, tra tutela della salute e tenuta economico-sociale. Non sarà facile. Il coronavirus ha generato nel II trimestre 2020, il trimestre del lockdown, un calo senza precedenti dell’attività economica e stimiamo nel 2020 un calo del PIL complessivo del 9%. Uno scenario complesso e difficile, con una elevata volatilità, ma anche importanti segnali di ripresa. I dati sul terzo trimestre indicano una ripresa in molti casi migliore delle aspettative con una forte crescita della produzione industriale e degli ordinativi tornati ai livelli pre-covid, un deciso recupero dell’export e della fiducia di imprese e consumatori, una decisa crescita degli occupati. Dati che ci portano a stimare nel terzo trimestre un forte rimbalzo del PIL (+13,4%). Dati che vanno ricordati perché la ricostruzione della fiducia è un elemento indispensabile per la ripresa economica. Merito della tenacia e del coraggio dei nostri imprenditori, professionisti e lavoratori, ma anche delle misure messe in campo dal governo che anche grazie alla nostra linea e sotto la guida di Gualtieri è riuscito a coniugare il tamponamento di situazioni immediate davvero difficili e che avrebbero potuto portare a forme di ribellione o a reazioni imprevedibili soprattutto nelle fasce più deboli e in molti casi più indifese dei cittadini italiani. Purtroppo la ripresa dei contagi rischia di compromettere questo già fragile scenario di ripartenza. Dobbiamo quindi prima di tutto dedicare ogni nostra forza, in ogni articolazione dello Stato dove siamo presenti, alla lotta senza quartiere al virus. Dobbiamo contribuire a rafforzare ancora, come stiamo facendo, la rete sanitaria, lottare per garantire alle nuove generazioni il diritto alla scuola e alla formazione. Dobbiamo continuare ovviamente a rispettare le regole. Ci aspettano mesi molto difficili.
  • A questa urgenza nazionale, globale, si lega la seconda grande sfida. Quella del governo. Con questo mare in tempesta non è il momento di navigare a vista.
In questi mesi l’azione dell’esecutivo è stata, pur nelle difficoltà, efficace nel contenere le conseguenze della pandemia e nel riuscire a ridare una nuova centralità all’Italia nel contesto europeo, determinante per l’approvazione a luglio di NEXT Generation EU. Adesso c’è bisogno di un cambio di passo. Lo abbiamo sempre detto: si lavora da alleati, non da nemici. Le sfide che ci attendono richiedono una grande capacità di visione comune e la solidità di questa maggioranza sarà determinata dalla sua capacità di costruire questa visione comune di Paese. In questo senso reputo molto positiva della volontà di lavorare per il “Patto di legislatura”, espressa dalle forze di Governo e accolte dal Presidente Conte. Questo obiettivo è stato da subito dopo la formazione del Governo il nostro obiettivo: non si può governare solo contro qualcuno, non si governa da avversari ma da alleati. Oggi continua ad esserlo, perché siamo convinti che l’emergenza del coronavirus non rende la questione politica di un comando democratico unitario, credibile e autorevole un diversivo, una cosa inutile rispetto all’impegno pressante che la recrudescenza del coronavirus ci pone. Al contrario è proprio la pericolosità di un nuovo esteso contagio che determina un disorientamento ed anche, in molti settori una preoccupazione di vita e per il futuro che impongono una responsabilità. Impongono la cessazione di conflitti inutili, dei veti incrociati, di ogni ripicca e imboscata. La maggioranza si gioca il suo futuro proprio sul terreno della credibilità, della fiducia, della discontinuità rispetto ad una politica che guarda solo agli interessi particolari o di partito, quando il clima del paese deve suscitare in tutto il nostro popolo lo slancio generoso, solidale, unitario che si è realizzato nei momenti più alti della nostra storia repubblicana. La lotta al nazifascismo. La costituente. La vittoria sul terrorismo di ogni tipo. La sfida europea con l’adesione all’euro, una nuova moneta per tutti gli stati del continente. Dobbiamo dire che forse anche grazie a questa nostra iniziativa politica qualcosa si muove, altro che subalternità. Renzi ha pronunciato parole nuove e positive in questo senso. Di Maio e gran parte dei 5 stelle hanno sviluppato una maggiore fiducia rispetto alle potenzialità di un azione comune. Dobbiamo promuovere e scommettere su un azione unitaria della politica non certo per distruggere o indebolire ma al contrario per cercare una visione comune e produrre stabilità che non sia immobilismo ma realizzazione di un progetto per l’Italia nuova. Ma occorre una stretta. Una stretta subito. Occorre dare una segnale all’Italia in queste ore. La politica torna protagonista se si carica di questa missione. Occorre, forse, dare segnali più univoci, corali con meno dispersione maggiore responsabilità e unità. Occorre, forse, dare segnali eccezionali che in questo momento difficile noi ci siamo a fianco di chi è solo, non ce la fa  di chi fa impresa e alle forze produttive. E soprattutto ci siamo insieme come una comune e unita classe dirigente che affronta i problemi insieme. Il resto in questo momento si può considerare secondario. Il resto si deve inchinare di fronte all’esigenza di salvare vite umane e ridare speranza al Paese. Noi siamo il Pd, noi che uniamo la solidarietà socialista, il rispetto laico delle regole e delle istituzioni per salvaguardare l’integrità delle persone, che siamo improntati a quella idea di sacralità della singola vita umana che ci viene dal cristianesimo, non possiamo che fare così. Non possiamo che essere il partito più umano e umanistico ne panorama politico italiano. Non ci interessano le discussioni sul maggior peso specifico del PD dopo le elezioni regionali, vogliamo confrontarci sui contenuti e su come utilizzare al meglio le risorse europee per modernizzare l’Italia e affrontare i problemi strutturali che hanno limitato le nostre potenzialità. Un confronto che deve trovare nel Parlamento il luogo naturale per discutere, anche aprendo alle proposte delle forze di minoranza. Come fare? La posizione del PD è molto chiara abbiamo presentato un documento con le nostre linee guida. Non dobbiamo disperdere le risorse in 1000 rivoli ma indicare punti chiari su cui il impegnare il PD, anche nell’azione parlamentare. Stiamo lavorando da settimane per elaborare una proposta seria, realizzabile concreta e di alto respiro. Non si tratta di tornare a prima della pandemia, perché prima della pandemia l’Italia era ferma e segnata da troppe ingiustizie. Si tratta di costruire un  nuovo modello di sviluppo del paese: infrastrutture di trasporto e digitali per connettere tutto il Paese ed abbattere una delle prime cause di esclusione e disparità; produttività e innovazione per rafforzare il tessuto delle imprese;,investimenti corposi nella sanità e per garantire il diritto a cure di qualità, pensando ai giovani, al loro futuro, partendo in primo luogo dalla lotta alla dispersione scolastica; un piano nazionale per l’occupazione e l’imprenditorialità delle donne e diritti delle donne e parità di genere, perché non c’è futuro di sviluppo e giustizia senza la forza delle donne; e sostenibilità ambientale, perché l’Italia può diventare davvero il motore verde dell’Europa. Come ha detto Paolo Gentiloni serve politica espansiva, non spendere la qualunque. Noi ci siamo. Su questa grande scommessa sul futuro del Paese siamo presenti con idee e proposte, che ora vogliamo condividere con i nostri alleati. Dentro la linea della massimizzazione degli strumenti comuni europei di intervento a sostegno della crisi si colloca anche la questione del Mes. Innanzitutto, occorre rivendicare il negoziato svolto dal Governo italiano per rendere disponibile agli stati membri una linea di credito a interessi zero e del tutto priva delle tradizionali condizionalità macroeconomiche connesse agli strumenti del Mes. La disponibilità e la facile accessibilità di questa “rete di protezione”, insieme, soprattutto, ai massicci interventi della Bce e poi al prender forma gli altri strumenti come Sure e Next Generation EU, ha concorso a stabilizzare i mercati e ha aiutato lo sforzo finanziario che ha visto l’Italia e gli altri Paesi mobilitare risorse senza precedenti per far fronte alla crisi senza alcuna tensione sul mercato dei titoli di stato. Tuttavia si è sviluppata attorno al Mes una discussione molto accesa, eccessivamente aspra e in alcuni casi non fondata sui dati reali. Il confronto non può essere ideologico come pretenderebbe il Movimento 5 Stelle.  Ogni posizione non può costituire una bandierina inamovibile, per ragioni di partito. Occorre piuttosto un confronto di merito, sulla reale dimensione del problema. Il Mes rappresenta un prestito a interessi più bassi rispetto a risorse che altrimenti dovremmo ricercare sul mercato. Il risparmio sugli interessi che si avrebbe con il Mes è di circa 300 milioni l’anno. Tre miliardi in dieci anni. Una cifra comunque significativa ma di questo si tratta. Ed ecco perché noi, a partire dal Ministro Gualtieri, riteniamo utile che si acceda a questo prestito a queste condizioni favorevoli. Oltre a questa convenienza sugli interessi, il Mes ha vantaggio di poter essere attivato più rapidamente rispetto alle procedure del Recovery Fund. Ma tale vantaggio è essenziale per i Paesi che hanno una difficoltà di liquidità sulle spese sanitarie, che sono quelle alle quali indirizzare il suo utilizzo. Non è il caso dell’Italia, che ha sufficiente liquidità per attuare tutti i progetti necessari e stabiliti nel campo sanitario e di quello dell’intervento sull’emergenza del Coronavirus. Se poi vi fosse in futuro un aumento dei tassi d’interesse questa esigenza diventerebbe ancora maggiore e il vantaggio ancora più evidente. Quello di cui sento però ora l’esigenza è uscire dagli slogan, dai titoli, dalle discussioni sui paragrafi dei documenti finanziari e di entrare nel merito delle scelte. Il Governo presenti al più presto, al tavolo di legislatura il progetto da concordare con le regioni per la nuova sanità italiana a quarant’anni dalla nascita del sistema puntiamo ed avere la migliore sanità del mondo, per dare cure  nel principio costituzionale e quindi sicurezza e benessere ai cittadini. Già in questi mesi alla sanità sono state destinate nuove urgenti importanti risorse. Accanto a questo piano di nuova sanità si colleghi con chiarezza il progetto del piano di finanziamenti e il crono programma della sua attuazione. Decidiamo, programmiamo e realizziamo; così si deve fare in un Paese moderno che vuole cambiare.
  • La terza sfida che ci attende, infine, è il voto alle prossime amministrative nella primavera del 2021. Una sfida decisiva, perché tocca il futuro della Capitale e di molte delle città più grandi del Paese: Milano, Torino, Bologna e Napoli. In totale saranno oltre 1.000 i comuni chiamati al voto, tra cui 21 capoluoghi di provincia. E il Partito Democratico sarà di nuovo centrale nella scelta di candidati competitivi e competenti. Ci arriviamo più forti, perché il campo delle alleanze è più largo. C’è una disponibilità al confronto con altre forze politiche – in particolare con il M5S – che andrà verificata territorio per territorio, città per città. Ma che rispetto a poco tempo fa ci rende più competitivi. Abbiamo la possibilità di vincere anche la prossima primavera.
C’è però bisogno di un metodo e di una consapevolezza. Anche sulle responsabilità del nostro partito. In molte grandi città italiane c’è stata una drammatica assenza di prospettive economiche e di progetti sociali e culturali. Il Covid ha messo a nudo in tutta la sua drammaticità la debolezza strutturale di tante realtà italiane, le loro diseguaglianze, la loro arretratezza, le sacche di invivibilità e insicurezza. Penso al dato drammatico della dispersione scolastica in alcune città e, in particolare, in alcuni quartieri. All’arretratezza tecnologica, e all’isolamento sia fisico che digitale di intere zone. Alla difficoltà a valorizzare alcune delle nostre grandi vocazioni. Il PD non è innocente. Se questo è successo – è tempo di riconoscerlo – è anche perché c’è stato un progressivo allontanamento tra politica, corpi intermedi, associazionismo, militanti, cittadini. Ecco allora la questione di metodo e di cosa siamo nel paese. Se non recuperiamo questo rapporto con la vita reale dei territori falliremo ancora. Ecco perché dico, ora massimo ascolto alle voci delle città. Autonomia e rispetto per chi i territori li vive e li conosce. Anche nelle scelte politiche sulle candidature e nelle coalizioni che le dovranno sostenere. E poi pur tra le 100.000 difficoltà dell’era Covid apriamo il cantiere del Pd nuovo e di un contributo culturale e politico da costruire insieme alle forze culturali sociali e produttive del paese per il futuro dell’Italia e dell’Europa. Siamo cresciuti nelle aspettative che si hanno nei nostri confronti non in egual misura nella capacità di raccogliere e valorizzare questa aspettativa. Anche il pluralismo interno per non ridursi a solo correntismo e frammentazione ha bisogno di luoghi unitari e plurali della militanza e di una comune forte visione e identità politica. La Fondazione sta avviando un ciclo di formazione. Sul partito convocheremo in forma digitale l’assemblea nazionale dei segretari di federazione per discutere e poi realizzare un vero e proprio piano di sviluppo della nostra organizzazione: “più democratici per l’Italia” per diversificare arricchire la nostra  offerta organizzativa e radicamento nel Paese cosi come avevamo deciso nell’assemblea di dicembre. Sui temi come la legalità, l’impegno sociale, il diritto alla formazione per tutti, la militanza a difesa delle istituzioni democratiche  daremo vita a gruppi di volontari democratici. Costruiamo finalmente almeno 1000nuovi punti pd: nelle università, nei luoghi di lavoro o di aggregazione. Rilanciamo o diamo vita a circoli tematici e di interesse per organizzare le competenze. Accanto a questo ripeto pur in una situazione difficile che limita gli incontri promuoveremo un processo aperto di confronto e discussione politica per un nuovo manifesto sull’Italia e l’Europa e l’identità di una campo largo e variegato di forze politiche, sociali culturali e produttive. Ora siamo in piedi e possiamo farlo con credibilità con un appuntamento nazionale prima dell’estate. Ci aiuteranno in due nuovi strumenti di informazione e comunicazione che stiamo realizzando: la piattaforma immagina e la nuova radio web che abbiamo presentato  e inizierà a trasmettere da gennaio. Ecco, ho citato solo alcuni temi. Ma il nostro compito è immaginare la prossima tornata elettorale e i prossimi mesi come l’occasione per ricostruire sulla base delle domande concrete della vita degli italiani una proposta politica. È una missione, come evidente, che va ben oltre le amministrative e il destino pure importantissimo di città come Roma, Napoli o Milano. Una missione che potrà realizzare solo una classe dirigente diffusa, che negli ultimi anni è stata cancellata, esclusa, offesa, mortificata. Ripeto, in ogni città auspichiamo un’alleanza larga che parta dall’alleanza di Governo .  L’abbiamo cercata questa alleanza in tutte le regioni. Non è andata a buon fine. Abbiamo combattuto con vero coraggio anche da soli. Tuttavia quando dico tentare ovunque tale alleanza, non mi riferisco in alcun modo a baratti nazionali, geometrie di vertice, candidati decisi in modo politicistico e calati dall’alto. Tutto deve essere misurato nei territori. Tutto deve partire da processi maturati nella società. Tutto deve tener conto delle situazioni locali. Ancor più delle regioni siamo di fronte infatti ad una battaglia civica. Questa è la battaglia delle amministrative. Massimo spazio quindi alle energie dei territori, massimo spazio ai corpi intermedi, massimo spazio a tutte quelle persone – e sono tantissime – che da anni chiedono di partecipare, ma trovano ogni volta chiuse le porte della politica e dello stesso PD. Andiamo nei quartieri e confrontiamoci con le forze più sane e più vive: associazioni, cultura, politica. Non possiamo che partire da qui per continuare il cammino che abbiamo ormai intrapreso, per riaprire il partito, per avere un’idea di società, di città e di sviluppo su cui costruire candidature solide e vincenti, ma soprattutto su cui edificare un progetto politico coraggioso, di respiro ampio, che dia speranza all’Italia per i prossimi anni.

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